Il Giornalismo costruttivo

Il Giornalismo costruttivo

Che cos’è il giornalismo costruttivo?

Il giornalismo costruttivo è un giornalismo orientato sulle risposte ai problemi, che si concentra su come questi problemi possano essere risolti. 

Al contrario del giornalismo tradizionale, che indaga esclusivamente sui problemi e su quello che non va, il giornalismo costruttivo mostra anche le soluzioni che funzionano in certe realtà e tra certe comunità, e offre un’immagine più completa del nostro mondo. 

I giornalisti costruttivi scrivono dei problemi del mondo, ma cercano prove del perché, in alcuni contesti e in determinate comunità, ci sono risposte a questi problemi che funzionano. 

E, nel caso non ci siano risposte positive, il giornalismo costruttivo indaga sul perché tutte le soluzioni provate fino ad ora non abbiano funzionato.

Questo approccio consente di innescare un dialogo costruttivo non solo con i lettori, che diventano più consapevoli e in grado di migliorare la comunità in cui vivono, ma anche con le istituzioni, con i professionisti e con i politici.

Il giornalismo costruttivo non ignora le notizie negative: al fianco della notizia negativa, però, accosta una o più possibili soluzioni, portando prove di risposte che funzionano già altrove o ponendo domande sul perché nessuna risposta abbia ancora funzionato.

Il focus del giornalismo costruttivo

Il giornalismo costruttivo racconta i molti modi in cui le persone e le istituzioni cercano di risolvere i problemi, sia che queste soluzioni abbiano successo, sia che non lo abbiano. 

Ad esempio, se ci occupiamo di istruzione, non possiamo parlare solo dei problemi strutturali della scuola in Italia. 

Abbiamo anche il dovere di raccontare le storie delle persone, insegnanti, presidi, politici, che lavorano per migliorare la scuola, per dare un quadro completo del contesto. 

Il giornalismo costruttivo mette in evidenza le emozioni della storia, il livello di coinvolgimento dei protagonisti, le relazioni che si sono attivate grazie alla storia e quelle possibili, il senso di quanto si sta raccontando e le proposte delle soluzioni trovate, analizzate e valutate.  

Non possiamo raccontare solo quello che non va e sperare che a risolvere i problemi ci pensi la società con nuove leggi o nuovi paradigmi mentali. La società siamo noi, tutti noi, ed è nostro compito lavorare insieme per renderla migliore. Le persone devono conoscere esempi e modelli credibili di cambiamento, di soluzioni ai problemi, per diventare consapevoli e poter agire per migliorare la società.

Il punto di vista del giornalismo costruttivo

Le storie di giornalismo costruttivo si concentrano sui problemi sociali, sulle soluzioni che le persone trovano a questi problemi e sui limiti e i difetti di queste soluzioni.

Le soluzioni vanno inserite nel contesto specifico in cui nascono, perché non è detto che una soluzione che funziona in una comunità funzioni anche in un’altra. 

Tuttavia, conoscere come le persone tentano di risolvere un problema innesca negli altri la pratica di porsi delle domande, di avere delle intuizioni sulle eventuali soluzioni, di rintracciare quelle possibili all’interno del proprio contesto. 

Gli esempi e i modelli delle storie costruttive si basano su dati e risultati reali. 

E, se le soluzioni trovate a uno specifico problema non hanno ancora prove che dimostrino la loro validità, i giornalisti costruttivi raccontano con trasparenza e semplicità la mancanza di queste prove e i motivi per cui, secondo loro, il racconto delle soluzioni sia comunque degno di essere raccontato. 

Ti aspetto su Valory App per leggere le tue considerazioni sul progetto di giornalismo costruttivo del Constructive Network

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Mariangela Campo

Non possiamo sapere quello che vogliamo se prima non proviamo_ parola di Fulvio Giuliani

Non possiamo sapere quello che vogliamo se prima non proviamo_ parola di Fulvio Giuliani

“Non possiamo sapere quello che vogliamo se prima non proviamo” parola di Fulvio Giuliani

La frase del titolo è piuttosto semplice e per certi versi anche scontata, ma forse è proprio questo il motivo per cui ho deciso di metterla.  A volte abbiamo così spesso gli strumenti sotto gli occhi che sembra quasi che non li avessimo mai avuti: come se non li avessimo mai visti. Credo che per poter raggiungere quello che si vuole si deve soltanto agire: provando, analizzando, valutando se continuare, o cambiare strada e proseguendo così. Per certi versi  questo modus operandi  si collega anche alla maniera con cui ci informiamo: solo vagliando le varie fonti possiamo comprendere veramente l’immensità del mondo e come esso funziona. L’opposto è accontentarsi, ma in molti casi -fra cui questo- non è sicuramente la soluzione.

Questo è uno dei insegnamenti che mi porto dall’intervista con Fulvio Giuliani: giornalista, conduttore e caporedattore di rtl 102.5. Prima di intervistare il dott. Giuliani credevo di apprendere semplicemente delle soluzioni a dei dubbi che mi ponevo riguardo al modo di informarsi, invece ho ricevuto un monito: un monito riguardo al proteggere i propri diritti e non avere paura di sfruttarli.  Eh sì! Perché a volte ci si può addormentare, dimenticandosi delle risorse che abbiamo ereditato. 

Ah sì dimenticavo io sono Diego, 15 anni studente del liceo scientifico di Udine e valory reporter.

Spero che, leggendo questo articolo, anche tu possa comprendere non soltanto le opportunità che possediamo, ma anche i doveri morali verso chi è venuto prima e, soprattutto, verso noi stessi. Mi è venuta una bella similitudine che spero ti possa aiutare durante la lettura: tutte le forme di comunicazione che possediamo oggigiorno, sono delle opere che ereditiamo da chi è venuto prima di noi. Noi siamo dei restauratori che devono prendersi cura di tali oggetti, ma allo stesso tempo siamo degli artisti, che, attingendo dal passato, creano un qualcosa di nuovo: di unico; diventando in un certo modo noi stessi un’opera: l’opera più bella. 

Detto questo ti auguro buona lettura e do il via all’intervista a Fulvio Giuliani!

Prima di iniziare con le domande vorrei chiederti di presentarti, se possibile tramite un aneddoto.

Di mestiere faccio il giornalista, ma il modo in cui mi sono avvicinato a questo lavoro è stato del tutto sommato casuale. Mi è sempre piaciuto scrivere e raccontare sin da bambino. Ricordo benissimo, come se fosse ieri, quando alle scuole elementari mi fecero fare una ricerca sulla rivoluzione iraniana del 1979 dell’ayatollah khomeini e, nonostante oggigiorno sia un tema improponibile per un bambino delle scuole elementari, è un ricordo che a distanza di 40 anni porto ancora con un sorriso dentro di me. Devo dire però che pensavo di fare tutt’altro. Per questioni di eredità familiare sarei dovuto diventare un avvocato, ma in realtà  -come scrivevo all’inizio-  accompagnando  casualmente  un amico ad un provino per una radio di Napoli, mi sono innamorato in particolar modo di essa, e da lì ho cominciato ad entrare nel mondo della radio e del giornalismo. Alla fine tutto si è susseguito naturalmente: è un costante sviluppo composto da tanti passettini alla volta: dove ho incontrato molte situazioni sia difficili, ma soprattutto stimolanti. Ancora oggi dopo “molti passi” mi ritrovo qui,  e continuerò sicuramente ancora finché ne avrò le forze:  perché  questo è un tipo di lavoro dove l’approdo non è assolutamente la pensione!

Dopo aver visto il tuo Ted talk, mi è rimasto molto impresso il  tuo concetto di non fermarsi mai al primo risultato di ricerca, e anche al fatto che tutti noi possediamo nel nostro telefono cellulare una quantità di informazioni, paragonabile alla biblioteca di Alessandria d’Egitto. Ti vorrei chiedere se tu potessi spiegare il perché è così importante informarsi in modo variegato, dicendo anche quali sono i vantaggi di questo tipo di informazione e quali sono gli svantaggi di non informarsi in questo modo: perché i miei coetanei, ma in generale tutti, possano fare propri questi concetti, non lasciandoli soltanto come delle belle parole.

Innanzitutto, bisogna dire che questo è un aspetto cruciale della mia vita, prima ancora che della mia professione. Per me, ma in generale per tutti è vita. Prima ti ho fatto l’esempio di quella ricerca delle scuole elementari. Tu puoi immaginare che strumenti io avessi all’epoca, fondamentalmente: i giornali, i racconti di mamma e papà e il telegiornale, basta.  Oggi al contrario, chiunque ha la famosa biblioteca di Alessandria dell’esempio che feci sul palco di Ferrara al Ted talk, ed è una fortuna che ci dobbiamo saper meritare. Perché è vero che è un’opportunità incredibile, ma sta a noi saperla sfruttare sapientemente. Il motivo per cui dovremmo farlo è perché è l’unico modo per provare a capire il mondo che ci circonda. Fermarsi al primo esito di una ricerca, significa rifiutarsi di capire: accontentandosi della via talvolta più comoda. Poi magari il primo risultato di una ricerca è quello più consono, più ampio e anche più soddisfacente, ma non è assolutamente detto: questo lo devo constatare soltanto leggendo ed informandomi sempre di più. L’alternativa è credere al primo che passa, ed è un’alternativa pericolosissima sia nella vita sociale: quindi come comunità, ma anche a livello personale. Perché se io sono disposto a credere alla prima persona che incontro per strada, essa potrebbe non essere la persona giusta. Darci completamente ad una persona che potenzialmente potrebbe non essere quella giusta è estremamente pericoloso.  È una forma mentis che prima acquisiamo e meglio è. Perché poi non la si abbandona più, visto che ci si è stati abituati all’idea: di far ricerca, di studiare, di non accontentarsi mai, e questo alla lunga porta a imparare sempre di più.

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Rimanendo nella similitudine con la biblioteca di Alessandria, ho riscontrato questi due possibili rischi: da un lato, cercare di comprendere tante informazioni attingendo a soltanto un libro: quindi rischiando la ipersemplificazione, e dall’altro rimanere intimoriti dalla quantità di libri riguardo un argomento o una notizia. Dal tuo punto di vista, come può un giovane “districarsi” in questa vastità di fonti?

La complessità fa paura ed è normale che faccia paura. La storia ci insegna che spesso alle masse sono state vendute come verità assolute delle costruzioni assolutamente fantasiose, talvolta anche con dalle finalità orrende, perché facili da spiegare; ed è ovvio che è molto più facile tendere le persone con una visione semplicistica della realtà: prima sicuramente più di oggi. Oggigiorno comunque quella stessa biblioteca di Alessandria nelle nostre tasche impedisce l’organizzare le masse con relativa facilità, come il novecento c’è l’ha tragicamente insegnato. Però per la singola persona è ovvio che è più comodo, più facile e più suadente affidarsi alla spiegazione semplice in 280 caratteri di un tweet: perché costa meno fatica, e nessuno ama faticare. La complessità e gli scaffali zeppi di libri mettono ciascuno di noi davanti ad una sfida; ed è certamente molto più complesso, ma la soddisfazione di: conoscere di più, di aver sentito diverse campane, diversi pareri, diverse visioni anche della realtà, ripaga totalmente lo sforzo . Poi sarà sempre lasciato a noi il libero arbitrio di scegliere la versione a parer nostro più vicina alla realtà. Ovviamente a 15 anni si è nell’età adolescenziale, si è nell’età dei principi assoluti ed è giusto che sia così. Si sa: si ama come non si è mai amato, si crede come non si è mai creduto. Col passare degli anni però le granitiche certezze vengono meno, ma dall’altro lato si acquisisce sicurezza e si scopre che il mondo è meravigliosamente vario. Quello che non viene neanche considerato magari a vent’anni, affascina terribilmente a 40, ma questa è una conquista. Il poter fare cose differenti, il non sapere necessariamente dove andremo, che tipo di lavoro faremo è una conquista dei nostri tempi.  Già i nostri genitori avevano dei binari molto più definiti. C’era più sicurezza, c’era meno dubbio: nella loro fase di formazione e nei primi anni professionali sapevano dove sarebbero andati a parare. Io credo però, che oggi ci siano delle opportunità meravigliose. A tutt’oggi per quanto io abbia 50 anni, ho l’assoluta certezza che da qui alla mia vita professionale futura arriveranno cose talmente nuove, che oggi semplicemente non esistono: lavori che oggi non ci sono, forme di comunicazione che non esistono, e questa è un’opportunità incredibilmente meravigliosa, che semplicemente 30 anni fa non c’era!

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I social in questi anni hanno formato delle connessioni sempre più profonde nelle nostre vite: sia a livello privato, ma che a livello lavorativo. Ecco, portando te come esempio con il tuo format “60 seconds”, vorrei chiederti come possono anche i giovani utilizzare queste piattaforme: non soltanto come mezzo di intrattenimento, ma anche come strumento per creare contenuto.

Resta a voi: è molto semplice. Se siamo abbastanza curiosi e interessati al mondo, da osservare i social con occhio critico -quindi- divertirsi e ci mancherebbe altro, ma usarli anche per conoscere un po’ di più, scegliendo le persone da seguire che possono darci dei contenuti. Da tutto questo potrebbe venirci voglia di sperimentare qualcosa in prima persona.  Questo è quello che ho fatto, non ho inventato nulla di spettacolare: ho semplicemente dato continuità al mio lavoro di sempre in radio anche attraverso i social. Si chiama continuità nella differenza: la differenza c’è anche nei differenti metodi di espressione. Nessuno di voi ha dei paletti che non può superare. Potete provare negli ambiti che vi possono interessare maggiormente, che siano: la musica, che sia un intrattenimento, che sia la lettura, che sia la scrittura.  Potete fare quello che volete: era quello che dicevo prima: i limiti ce li poniamo, ma non ci sono. Scegliamo noi quale sarà il nostro limite espressivo. Certo se uno si preoccupa di non avere sufficienti followers forse parte male. Perché se quella è l’unità di misura, è piuttosto difficile iniziare, visto che il primo passo non potrà avvenire con 200 mila persona che ti seguono. Non avviene e non può avvenire. L’ordine di misura non può essere quello, perché nell’universo social esiste questo specchietto delle allodole riguardante il numero di  followers, che è pur importante per chi ne fa un uso professionale, ma alla vostra età stiamo sperimentando, stiamo conoscendo: quello deve essere l’ultimo dei problemi. L’ultimo: non il penultimo, l’ultimo! La vera esigenza deve essere sperimentarsi, e poi chissà, magari trovate un lavoro, magari trovate il vostro vero ambito di realizzazione: semplicemente noi non lo sappiamo, non lo possiamo sapere prima di fare.

In un’intervista avevi detto che la dimensione del racconto può rendere anche i concetti più difficili semplici: con l’avvento dei social come pensi che si svilupperà l’abilità del racconto nel futuro?

Io credo molto: credo molto perché il racconto è in noi, e nel nostro dna, è un qualcosa che c’è sempre stato e sempre ci sarà. Certamente in forme diverse, ma la sostanza non cambia. Da quando i nostri avi affondano le nostre radici nella Grecia e nella Roma antica: da allora, la dimensione del racconto soprattutto nel mondo greco, seppur con strumenti radicalmente diversi e seppur siano passati tremila o quattromila anni a seconda dei casi,resta quella. È ovvio che è cambiato tutto, ma la dimensione del racconto, la dimensione del tramandare agli altri: tradizioni, racconti, la nostra memoria, non cambia. Semplicemente adesso abbiamo degli strumenti di incredibile potenza. Oggi non ci mettiamo più attorno ad un fuoco ad ascoltare i racconti dell’epica, ma invece ci mettiamo davanti a un fuoco ideale: digitale. Ci mettiamo ad ascoltare una persona, che ci affascina con la sua capacità di portarci per mano lungo i percorsi della storia, o della tecnologia, o del futuro. Il racconto è lì, il racconto non cesserà mai di esistere: perché è connaturato nell’uomo.  Un uomo che non dovesse più avere interessi o capacità a raccontare della propria storia,  della storia di chi è venuto prima, o  di chi verrà dopo di lui, sarebbe un uomo pericolosamente vicino ad una macchina: magari capacissima di svolgere calcoli per noi inimmaginabili, ma a tutt’oggi non capace di generare l’opera di intelletto.

“Un adulto che non gioca è un adulto perso”, tue parole. Ecco, con la tua esperienza, che consiglio daresti a un giovane perché non si ritrovi nell’età adulta “sperduto”?

Più che perso, è un adulto che ha dimenticato la sua parte bambina, ed è sempre un gravissimo errore. Io ho il terrore delle persone che si prendono sul serio e delle persone che ritengono non solo di avere tutte le risposte, ma di essere molto seriose. Le persone di maggiore qualità che ho incontrato nella mia vita personale e professionale, sono quasi sempre persone molto profonde, ma allo stesso tempo con una capacità di leggerezza meravigliosa, con una capacità di ironizzare su se stessi, sulle proprie debolezze, sugli errori e perché no anche con la capacità di giocare. La dimensione del gioco è fondamentale: perché in essa ci si riconnette con la parte bambina, con la parte più disposta a meravigliarsi.  Quando noi smettiamo di meravigliarci siamo finiti.  Perché diventiamo aridi: non siamo più disposti al nuovo, ma finché ci meraviglieremo, saremo sempre disposti a divertirci, a imparare e a fare un passo in più. In caso contrario, saremo condannati a ripetere sempre le stesse cose.

Se potessi incontrare il te stesso quindicenne che cosa gli diresti?

Di avere meno paura: perché quella è l’età anche di tantissime paure. Ho una figlia della tua età e quindi credo che ci sia anche in lei, come in tutti i quindicenni, questa dimensione della paura, dell’ignoto, del non sapere dove si andrà a parare. Per voi in una forma diversa rispetto a quella che abbiamo vissuto noi: noi avevamo dei genitori molto consapevoli -come accennato in precedenza- della strada da indicare ai propri figli, sempre con le massime e migliori intenzioni, ma oggi questa dimensione si è un po’ persa; e non è che noi, come genitori non lo sappiamo, ma è soltanto che  il mondo è cambiato in modo molto più fluido rispetto prima. Le strade sono molto più difficili da individuare, e quindi noi genitori dobbiamo dire più cose, ma dai contorni più sfumati; mentre prima se ne potevano dirne di meno ma più definite. Quindi quello che direi al me di 35 anni fa è: “Abbi meno paura, non ti preoccupare, perché gli errori che certamente commetterai sono fondamentali per capire quale strada vorrai intraprendere.” Questa è l’unica cosa che mi permetterei di dire al me di 35 anni fa, che peraltro si è divertito molto ed è stato che estremamente fortunato: perché ha avuto un’adolescenza di incredibile bellezza.

Infine ti vorrei chiedere di lanciare un messaggio a tutta community di Valory.

Il  messaggio è: insistere, continuate a fare quello che state facendo,mettetevi alla prova, rischiate, sbagliate sbagliate ancora. Non abbiate paura di cambiare strada, perché  attraverso l’errore capirete -lo dicevo prima e lo ripeto- quale sia la strada più consona, o meno, alle vostre caratteristiche. Non abbiate paura di esplorare: perché questa è l’età in cui potete fare quello che volete: potete sperimentare e potete divertirvi; soprattutto ascoltate voi stessi: è difficilissimo, poi col passare degli anni lo facciamo sempre di più perché è tipico dell’uomo e della donna che crescono.  Non cominciate per nessun motivo a raccontarvi bugie per comodità: convincendovi che quella è la cosa giusta da fare perché la vita, le responsabilità e gli impegni vi costringono. Non fatelo per nessun motivo! Meno storie vi racconterete ora, meno ve ne racconterete un domani, e vi assicuro che se fate così vi divertirete molto, ma molto di più. Iniziate a scegliere anche i maestri: scegliete le persone a cui dare fiducia e quali ascoltare: perché già a questa età capite a pelle quali sono le persone che meritano la vostra fiducia e quelle che non la meritano, e la vita è vostra!

Nell’intervista si è anche parlato dell’abilità del racconto, e sono proprio convinto che Fulvio Giuliani nelle sue risposte ne abbia mostrato un chiaro esempio: ho percepito un grande spinta dentro di lui. Si nota l’amore con cui parla della radio, ma più in generale riesco a vedere il bambino che è dentro in lui e di cui mi ha saputo raccontare. Mi ritengo fortunato ad aver conosciuto una tale persona, che prima di tutti i titoli conferitogli, per me è innanzitutto una persona viva e vera: non solo con il corpo, ma soprattutto con il cuore e la mente; e non per nulla scontato incontrare una persona “realmente vera” oggigiorno. 

Quello che vorrei trasmetterti con tutto me stesso è la chiamata all’azione: la chiamata a vivere che ho sentito. Come ho detto all’inizio, è importante ricordarsi degli strumenti e delle possibilità che oggi possediamo, imparando anche a ringraziare per questo; ma altrettanto importante è sporcarsi le mani creando: l’immaginazione ci è stata donata pur per un motivo! Non vorrei comunque trattenerti troppo con parole e concetti troppo aulici e lontani. Il dott. Giuliani ha già detto tutto. Vorrei soltanto provare a condividerti un po’ dell’energia che ora provo, ma credo che anche tu dopo la lettura ne abbia già fatto il pieno. Che dire: sperimentate, provate, sbagliate, ascoltate voi stessi, e la vita è vostra!

Se sei curioso e hai voglia di sentire l’energia di Fulvio Giuliani, puoi vedere la video intervista su Valory app.

Diego Patrizio

“Il valore delle nostre passioni sta nella condivisione” ANDREA SANTAGATA

“Il valore delle nostre passioni sta nella condivisione” ANDREA SANTAGATA

INTERVISTA AD ANDREA SANTAGATA, Direttore Generale MONDADORI MEDIA

In questi giorni ho avuto il piacere di intervistare Andrea Santagata, Direttore Generale di Mondadori Media, la società che gestisce le attività print e digital dei brand del Gruppo Mondadori. 

Santagata ci ha dato degli spunti davvero interessanti sulla promozione delle nostre passioni unita al valore della condivisione all’interno di una community, l’importanza dei Social per trovare nuovi talenti e per finire ci ha dato alcuni consigli su come andare a migliorare la comunicazione in un progetto come Valory. 

Ecco per voi l’intervista.

Cosa rappresentano i social e le multimedialità per un editore importante come Mondadori Media? 

Secondo il mio punto di vista i social non sono una moda o un media da rilegare a una parte di intrattenimento della vita delle persone. Per noi sono un nuovo paradigma di relazione con i lettori ed utenti e di fare editoria. I Social non sono solo infatti un grande canale di intrattenimento, ma stanno diventando anche un modo per creare community attorno alle passioni delle persone: ambiti in cui siamo fortemente presenti creando luoghi dove le community di persone si incontrano, per quanto possano essere virtuali. Lo facciamo ad esempio nella moda attraverso il nostro brand Grazia, nel food con GialloZafferano, nel beauty con Donna Moderna.  

I Social ci stanno quindi cambiando, perché ci stanno rendendo tutti protagonisti, trasformandoci in “prosumer” cioè produttori di contenuti. Ad oggi i protagonisti non sono più il contenuto e il brand, ma al contrario il contenuto e il brand si mettono al servizio delle persone per far sì che lettori, utenti e follower realizzino le loro passioni.

Quindi se una persona sceglie GialloZafferano per una ricetta, il vero protagonista è la persona stessa che realizza quel piatto a casa e lo offre ai propri amici o alla propria famiglia. In questo modo viene gratificato e, grazie al nostro brand, un momento social “virtuale” diventa un momento social “reale”.

I social sono anche un modo di fare caring delle persone, di unirle attorno alle proprie passioni e di renderle attivamente protagoniste e co-creators insieme a noi: in questo modo arricchiamo anche noi stessi come editori grazie ai loro contenuti.

Ci definiamo una social multimedia company: multimedia perché questo paradigma funziona su tutti i canali in cui il nostro brand è presente, dal web ai social ai magazine che sono allo stesso modo delle community, come lo sono anche i tanti eventi che stiamo organizzando unendo il fisico al digitale.

Parlando sempre di community, pensa sia un modo per poter trovare nuovi talenti? 

Penso che per un editore come noi i Social Media siano molto importanti perché ci permettono di raggiungere diversi target, anche quelli più giovani.

Ad esempio su TikTok abbiamo iniziato a lavorare da alcuni mesi con alcuni nostri brand e con risultati molto interessanti:  per noi sta diventando la più grande fucina per trovare nuovi talenti e nuovi creators. Sia nel campo della moda con Grazia sia della cucina con GialloZafferano, per fare qualche esempio, ci sono tantissime persone che vogliono esprimersi e soprattutto che lo dicono in maniera originale.

A volte però i social vengono anche visti come un posto dove c’è tanto contenuto ma non sempre di valore. Dal mio punto di vista questo non è vero o è vero solo in parte: i social sono una grande piazza variegata che consente a tutti di esprimersi. Pensate a TikTok: in questa piattaforma c’è stata una grande trasformazione; all’inizio era utilizzato solo da adolescenti mentre adesso è diventato un media molto diverso, dove si trovano persone che esprimono le proprie passioni con grande originalità. 

Quali suggerimenti può darci per comunicare al meglio un progetto come Valory, definito da Il Sole24Ore il 1°social responsabile, che si presenta in un contesto dibattuto come il “Social Dilemma” e che ha l’unicità della responsabilità e della condivisione di valori?

Penso che il posizionamento che è stato trovato sia veramente importante, perché quello che manca ai social in parte è proprio questo: la riscoperta di valori comuni.

Sappiamo dell’esistenza anche di un lato dark dei Social, come nel caso delle fake news, delle bolle informative o della polarizzazione delle opinioni delle persone che vanno a scontrarsi in fazioni: tutto questo c’è nei social ed è un po’ intrinseco nel meccanismo stesso del mezzo, che premia il contenuto o l’utente più seguito.

Quindi sottolineare la parola “valore” è estremamente importante sui social. Valore delle persone, valore dei talenti e anche valore di stare nella società, con delle regole condivise. Questo secondo me è la grande sfida che voi giovani avete davanti. Saper comunicare con maggior forza e trasmettere il senso di questi valori.

Per essere scelte le piattaforme dovrebbero avere in mente queste due priorità: per prima cosa il messaggio, che deve essere chiaro, molto diretto e che spieghi il motivo del perché una persona dovrebbe entrare a far parte di questa nuova community; la seconda cosa è ciò che mi distingue dagli altri e, nel vostro caso l’importanza dei valori comuni è un’ottima scelta di posizionamento.

E per finire può lanciare un messaggio alla giovane community Valory su come approcciarsi al futuro?

Approcciatevi al futuro in maniera aperta, inclusiva, curiosa e rispettosa, rispettandosi, gli uni con gli altri e questo penso possa portare benefici ad entrambe le parti.

Vi aspettiamo su Valory App dove potrete ascoltare l’intervista completa, farci sapere cosa ne pensi e condividere con noi le tue esperienze e le tue passioni.

Vieni con NOI!

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Samantha Zorzi

Perseverare senza abbattersi ROSSELLA CAMPISI si racconta

Perseverare senza abbattersi ROSSELLA CAMPISI si racconta

CONTINUARE E PERSEVERARE SEMPRE SENZA ABBATTERSI: INTERVISTA A ROSSELLA CAMPISI, DIGITAL MANAGER, LUSH

Come faccio a scegliere la strada giusta? Qual è l’atteggiamento corretto che dobbiamo assumere per fare la scelta giusta?

Scegliere la strada corretta da intraprendere per la propria realizzazione personale e professionale non è semplice, al giorno d’oggi si hanno tantissime possibilità e strade che si possono prendere che appare terribilmente difficile capire quale sia quella più adatta a noi. 

Non temete, Rossella Campisi, Digital Manager di Lush, durante la nostra intervista ha condiviso con la nostra community, la sua esperienza personale, ci ha spiegato quanto è importante avere un mentore e come è possibile superare i momenti di difficoltà. 

Buona lettura.


All’età di 18 anni avevi già deciso di fare Digital? 

In realtà non avevo ancora deciso, bensì mi sono iscritta a relazioni pubbliche e pubblicità perché sapevo soltanto che volevo lavorare in questo campo e mi sono buttata sulla parte di comunicazione. 


Piano piano, a poco a poco vista la passione per la tecnologia e l’online che ho sempre avuto mi sono interessata a questo campo e ho detto quasi quasi cambio idea.

Diciamo che è stato un percorso un po’ particolare, che credo riguardi un po’ tutti noi, quello di cambiare idea strada facendo. 

Ho scelto di lavorare sempre nell’area della comunicazione e del marketing, oggi in maniera più completa, guardo a 360° praticamente il mondo dell’online arrivando dalla parte più economica fino ad arrivare alla parte di comunicazione. 

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Quanto è stato importante per te avere un mentore o qualcuno che ti ispirasse nelle scelte, nei momenti di difficoltà durante il percorso?

Il percorso che ho fatto si divide sempre in due parti da un lato ho sempre avuto la mia famiglia, i miei genitori, i miei fratelli che mi hanno sempre spronato e supportato, supportato soprattutto durante gli studi, spronandomi anche certe volte direttamente dicendo che non potevo dormire sugli allori e questo mi ha sempre aiutata ad essere reattiva e proattiva e a rispondere a tutte le opportunità  che si sono presentate, positive o meno positive, durante il mio percorso sia di studi sia professionale. 

Mi ha aiutata a guardare sempre al di là del proprio naso, non fermarsi esclusivamente a quello che succede in questo momento, ma pensare sempre al futuro, quindi la mia famiglia in primis, senza di loro non ce l’avrei fatta.

E poi la mia seconda famiglia è qui a Milano, mi sono spostata dalla Sicilia e sono venuta a vivere qui.


Sono stata anche per qualche anno all’estero e ho creato tante micro famiglie fatte da una o anche due persone le quali anche loro mi sono state accanto tra Milano e Parigi e tra Milano e Londra, anche loro sono stati e sono tutt’ora dei mentori.

Sono quelle persone che ti aiutano a far ragionare e spero anch’io di fare con loro lo stesso e di poter dare lo stesso beneficio che loro danno a me.


Mentre dentro Lush ho trovato dei colleghi internazionali che sono stati in grado invece di darmi una marcia in più proprio dal punto di vista lavorativo, quindi andare a capire come approcciare a determinate situazioni e come comportarsi, guardandola sempre come un’opportunità e mai come una minaccia.


Grazie ad alcuni miei colleghi dentro Lush, ho trovato, spesso e volentieri dei momenti di conforto e dei momenti di forza, fatto sta che poi hanno chiesto a me di essere mentore per altri miei colleghi, quindi devo dire che sono riuscita ad avere degli ottimi compagni di viaggio che ancora ho tutt’ora.


Quanto è importante per te questa attitudine di Resilienza e quali sono dei suggerimenti o dei consigli, che puoi dare a noi giovani sul miglioramento di questo aspetto soprattutto nei momenti di difficoltà? 

Essere Resilienti è una dote innata, su cui bisogna lavorare, vi permette di continuare ad affrontare qualsiasi genere di difficoltà che si presenta sia dal punto di vista personale che professionale, è il continuare sempre ad avere un approccio positivo e reattivo, la capacità di imparare piano piano a saper affrontare quello che succede sia in positivo che in negativo.

È importantissimo, fa parte di questa capacità di creare piano piano in sè la capacità di essere più resilienti, di poter avere un approccio diverso alle persone, alle cose, alla vita. 


Una cosa molto importante è mai lasciarsi andare, festeggiare quando c’è da festeggiare e continuare a lavorare sodo, non fatevi mai dire di no senza nessun motivo. 


Se avete un’idea, un concetto, un progetto, un’opinione, arrivate sempre preparati e sappiate affrontare l’interlocutore in maniera molto corretta, facendo capire la vostra posizione, con i dati alla mano, con i presupposti per poterne parlare, allora questo vi permetterà piano piano di comprendere, andare avanti, di essere resilienti e di superare qualsiasi genere di difficoltà, quindi è questo l’importante essere sempre preparati e sapere quello che si fa. 

Non è semplice perché ovviamente parte da diverse fasi e ovviamente anche l’età conta, perché magari a vent’anni si è più esuberanti ed io continuo ad esserlo ancora adesso, però riesci a mitigare piano piano determinate cose ed ad avere più una visione a 360° e questo lo si può imparare entrando in contatto con il mondo, entrando in contatto veramente con tantissime persone e se avrete l’opportunità di entrare in contatto con persone che arrivano da tutto il mondo, ti permettono di comprendere anche la loro cultura, il loro modo di pensare, il loro modo di reagire a determinate cose, questo sicuramente sarà un plus che non dovrete mai rifiutare perché è una grande scuola.

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Puoi lanciare un messaggio alla nostra community Valory come consiglio ai giovani che si stanno avvicinando al mondo del lavoro?


Certo! Non abbiate paura se ancora in questo momento non avete le idee chiare, pian piano troverete la vostra strada e se siete convinti e avete le idee chiare andate avanti, vi raccomando non fatevi buttare mai a terra da nessuno, siate sempre preparati, questo vi permetterà di affrontare qualsiasi cosa e di avere ovviamente un approccio più reattivo e più propositivo nei confronti del mondo del lavoro o nei confronti di quello che può capitare nella propria vita personale, quindi non pensate che state facendo la scelta sbagliata, quel momento è il momento per cui quella scelta vi aiuterà a non sbagliare di nuovo, qualsiasi errore che fate non è mai tempo perso ed è certamente un’opportunità per migliorare e quindi non abbattetevi anzi andate avanti.


Non credete a tutto quello che c’è online e che tutti i successi, di tutti gli influencer e di tutte le altre persone nasca con facilità o con semplicità, è frutto di un grandissimo lavoro, quindi non abbattetevi, non pensate che quella cosa non sia possibile raggiungerla anzi mettetevi di buona lena, non ascoltate e andate avanti come dei treni ecco. Continuare e perseverare sempre senza abbattersi! 


Vi aspettiamo su Valory App dove potrete ascoltare l’intervista completa.

Ridare quello che si prende: Stefano Bassi si racconta

Ridare quello che si prende: Stefano Bassi si racconta

“Ridare quello che si prende: questa è la vera sostenibilità” 

“L’ambiente è quel qualcosa che ci include tutti: volenti o nolenti!”: questa è la frase che mi è rimasta impressa dalla video intervista con il dott. Stefano Bassi.

Environmental community organizer di Patagonia, si occupa delle comunità di attivisti presenti nel territorio. L’azienda Patagonia, per cui lavora, è un chiaro esempio di partecipazione attiva dentro un ecosistema: il loro messaggio aziendale è esplicito: “We’re in mission to save our planet”; ma quello che mi ha sorpreso ancora di più è la capacità di concretizzare e di rendere tanto esplicito anche il loro pensiero nella realtà: avendo cura non soltanto dell’ambiente, ma anche delle persone che operano, o meglio cooperano in questo grande sistema, che il nostro pianeta.

Dopo esser venuto a conoscenza di questo incredibile operato, mi sono posto una domanda: “Come è possibile anche per noi cittadini partecipare in modo attivo e fruttuoso in un (eco)sistema di cui ne facciamo parte?”-e anche-“Come si può aumentare la consapevolezza, e di conseguenza la nostra attenzione riguardo il pianeta Terra?”.

Questi sono soltanto alcuni dei punti trattati in questa intervista:ricca di preziose testimonianze e consigli e, se anche voi siete curiosi di sapere le risposte a questi quesiti, non vi lascio che all’intervista.

Buona lettura!

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Può raccontarsi alla nostra community Valory approfondendo il suo background e il suo ruolo attuale nell’azienda Patagonia?  

Dopo gli studi in Scienze ambientali e una decennale esperienza lavorativa in montagna, sono approdato nel 2007 a Patagonia, nel negozio di Milano, e mi è sembrato da subito naturale occuparmi degli aspetti ambientali. Oggi parte del mio lavoro consiste nel consolidare e nutrire le comunità di attivisti e altri attori che a vario titolo partecipano allo scenario ambientalista, attorno ai negozi italiani.

Vedendo le sue esperienze lavorative si può notare il suo forte legame con la natura e l’attenzione verso le tematiche ambientali. C’è stato un momento particolare nella sua vita nel quale è scaturito in Lei questa profonda connessione con la natura? 
Non riesco a trovare un punto di svolta, direi che è stata una specie di presa di coscienza graduale. Credo che l’aver passato molto tempo in montagna da piccolo e fino alla tarda adolescenza, soprattutto d’estate e in un luogo poco frequentato che mi concedeva libertà di esplorazione abbia molto influito nelle scelte che ho preso in seguito.  

Nella video intervista il dott. Bassi ci parla di come quei momenti a contatto con la natura siano stati importanti per la sua persona, proprio perché in quelle escursioni stava alimentando, non del tutto consapevolmente, la sua passione

Da questo aneddoto ho compreso anche un messaggio implicito che vorrei condividere: comprendere il perché ci piacciono le cose e anche come migliorare tali abilità è un passaggio imprescindibile per poter realizzarci pienamente. Credo inoltre, che migliorare un talento che abbiamo, e poi donarlo per aiutare gli altri sia un obiettivo da raggiungere per ognuno di noi.

Lei lavora nell’azienda Patagonia, impresa green che si occupa del settore tessile: settore come ha detto Lei con una grande impronta ecologica, come pensa quindi che questo atteggiamento imprenditoriale virtuoso possa essere riprodotto in larga scala? 

Uno dei motivi per cui facciamo quel che facciamo è dimostrare che è possibile fare business in modo florido e allo stesso modo responsabile. Le buone pratiche sono sempre replicabili, occorre solo la volontà di farlo. 

Patagonia si impegna in campagne a stretto contatto con le associazioni anche più piccole.

Una delle più significative per il dott. Bassi, è stata la campagna Blue Heart” per la salvaguardia dei fiumi nei Balcani dalle possibili costruzioni di dighe per produrre energia idroelettrica. 

La fonte energetica sopracitata non è così ecosostenibile come si pensa e, se vuoi sapere di più riguardo il perché di questo e ti incuriosisce la campagna “Blue Heart”  ti lascio alla fine dell’articolo dei link utili.

Pensa che ci sarà un incremento nel settore lavorativo dei cosiddetti green jobs, cioè tutti quei lavoro legati alla sostenibilità ambientale? Ha qualche consiglio per i giovani che vogliono intraprendere un percorso lavorativo di questo tipo?

Di sicuro il mercato del lavoro si sta muovendo verso posizioni sempre più legate alla sostenibilità, in senso lato. Le aziende, volenti o nolenti, dovranno sempre più intraprendere un qualche passo in questa direzione. Se posso dare un consiglio, a parte ovviamente tenere gli occhi bene aperti riguardo le possibilità che si possono cogliere, è che ed essendoci margine per la creatività c’è una vera e propria possibilità di crearsi un lavoro su misura.

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Gli School strikes for climate sono stati un esempio di attivismo per il clima nell’ultimo periodo, e vedendo anche la Sua partecipazione in questo settore, volevo porLe questa domanda: come questo fenomeno può essere utilizzato per portare qualche concreto cambiamento nella nostra società? 


ll fenomeno dei Climate Strikes ha avuto senza dubbio il merito di aumentare la consapevolezza attorno al tema della crisi climatica, e di allargare la piattaforma di attori che possano prendere attivamente parte al movimento attivista. Naturalmente manifestare e basta non è sufficiente, occorre che le nuove generazioni possano attivamente portare le proprie istanze (che sono poi quelle di tutti) nelle camere del potere. Per far questo, noto che i movimenti nati dal basso stanno cercando di organizzarsi in modo più funzionale, per essere più efficaci

Proprio come dice il dott. Bassi per dare risultati tangibili serve molto più che una sola manifestazione. Solo tramite proposte serie, che partono da associazioni con uno scopo chiaro, si può pensare di fare veramente “la differenza”. Un esempio che è stato riportato da Stefano Bassi è il progetto di “Ritorno al futuro” di “Fridays for Future Italia” che con l’aiuto di scienziati ed esperti ha proposto al governo un piano di rilancio a livello ambientale.

Pensa che utilizzare strumenti di comunicazione responsabile che stimolano comportamenti proattivi come ValorY possa essere utile anche per aziende come la vostra che vogliono instaurare con la next generation un rapporto più empatico e di consapevolezza verso l’Ambiente?

Di sicuro. Le giovani generazioni sono molto più attente alla salvaguardia ambientale e alla giustizia sociale di quanto non lo sia stata – per esempio – la mia. Rappresentano quindi la base più solida su cui costruire comunità non solo di clienti, ma di attivisti che partecipino alle prese di posizione che le aziende assumeranno in questi ambiti. Quindi fornire strumenti di comunicazione che parlino il loro linguaggio – il vostro – è fondamentale

“L’outdoor” inizia fuori dalla nostra porta di casa”, questa è l’immagine che spero vi possiate ricordare: per essere in contatto con la natura non ci si deve trovare per forza in un paesaggio fluviale dei Balcani, tutto inizia anche dal nostro giardino, anzi neanche! Tutto inizia da dove viviamo: cioè la città, dove paradossalmente, la natura sembra non esserci! 

Ma è proprio in questo posto dove possiamo manifestare il nostro vero amore nei confronti dell’ambiente: soltanto salvaguardando prima il luogo dove passiamo la maggior parte del nostro tempo potremmo far comprendere a tutti la bellezza di quello che ci è stato donato. 

Perché come disse Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo” e la salvezza non verrà da luogo straordinario ma inabitato, bensì, se giungerà, sarà proprio dal posto più inaspettato e a tratti inconcepibile”. 

Altri approfondimenti si possono trovare nella video intervista su valory app. 

sito campagna “Blue Heart” https://blueheart.patagonia.com/intl/it/ 

sito progetto di “Ritorno al futuro” (“Fridays for Future Italia”) https://fridaysforfutureitalia.it/ritorno-al-futuro-1/

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Diego Patrizio

Diventare un E-commerce manager: Francesco Chiappini ce lo insegna!

Diventare un E-commerce manager: Francesco Chiappini ce lo insegna!

Nell’ambito del Web Marketing Festival ho potuto porre alcune domande a Francesco Chiappini, speaker nella sala “E-commerce e Retail”. Docente di “Ecommerce School” per le aziende e per i giovani imprenditori, ci ha dato alcuni preziosi consigli per diventare un e-commerce manager.

Lei ha dichiarato che la cosa più bella del Suo lavoro è che La diverte. Quanto è importante la passione per la propria professione in un campo come il digitale che richiede un continuo aggiornamento?

Dev’essere costante. Nell’e-commerce ancora di più.
Se non c’è passione e voglia di formarsi continuamente ci si ferma ben presto nell’evoluzione professionale.
Quando ho iniziato nel 2002 c’era solo ebay, oggi ci sono tantissimi canali distributivi e di marketing che richiedono competenza nella gestione e nella lettura dei dati. È davvero fondamentale amare questo settore per essere continuamente stimolati e sempre aggiornati sulle tantissime novità che quotidianamente vengono pubblicate.

I corsi della Sua realtà “E-commerce School” generalmente sono mediamente avanzati ma alcuni sono rivolti anche a chi vuole iniziare a vendere online. Pensa che l’e-commerce sia una buona opportunità per un giovane? 

Assolutamente sì e per questo abbiamo creato un corso “Da Zero a E-commerce” che permette proprio a chi si approccia per la prima volta di essere guidato sin dai primi passi.
Per quanto riguarda le opportunità si può fare carriera come professionista o intraprendere un percorso imprenditoriale, entrambi necessitano di competenza.
L’e-commerce manager è il lavoro del futuro ed è già una figura professionale molto ambita e super ricercata sul mercato.
Per chi vuole diventare e-commerce Manager abbiamo creato un Master di 18 mesi operativo che permette di entrare subito nel mondo del lavoro, ecommerceHeroes.it
Se invece si vuole scegliere una carriera imprenditoriale, il consiglio è di diffidare da soldi facili, dropshipping vari e scorciatoie, ma di munirsi di olio di gomito, studiare tanto, testare, mettersi alla prova e soprattutto formarsi da imprenditori e non da tecnici o teorici che non hanno mai investito un centesimo di tasca propria come imprenditori. Questo fa tutta la differenza del mondo. 

Quali skills sono necessarie per intraprendere un percorso imprenditoriale nel mondo dell’e-commerce?

Due tipologie innanzitutto, orizzontali e verticali.
La prima, di Management, per guidare e delegare correttamente un progetto e-commerce, mentre le seconde servono per governare tutte le altre attività specialistiche e non per forza devono essere di competenza dell’imprenditore che può affiancarsi di un team specializzato su questi ambiti.
In generale è bene prima essere dei buoni imprenditori ed aver studiato Gestione aziendale, solo così puoi essere anche un ottimo imprenditore e-commerce.

Lei è considerato un pioniere della “Marketing Automation”. Come questa disciplina può conciliarsi con il crescente bisogno dei clienti di creare un rapporto, una relazione con il brand, con l’aumentata necessità di umanizzazione dei brand?

L’idea che la Marketing automation renda tutto impersonale è errata.

Anzi, queste attività aumentano la rilevanza delle comunicazioni e pertanto offerte e contenuti personalizzati avvicinano ancora di più i consumatori al brand, perché si sentono considerati  e vedono comunicare il brand in modalità one to one.

Poi tutto è automatizzabile, ma in alcune attività non sempre è consigliato.

Prendiamo per esempio il Customer Care, è vero che puoi automatizzarlo con chatbot sempre più intelligenti, ma il valore umano e la capacità di vendita di un operatore reale non potrà mai essere superato o raggiunto da un bot.

Quindi a livello strategico ci possono essere delle attività che per scelta si sceglie di non automatizzare, specialmente sul B2C (business to consumer) dove è davvero importante creare una relazione umana con i clienti.

Un obiettivo di ValorY è aiutare i giovani nella scelta del loro futuro professionale trasformando il mondo digitale in opportunità reali. Pensa che creare sinergie tra realtà che si dedicano alla crescita dei giovani possa dare a noi “fruitori” maggiori vantaggi?

Le partnership sono molto sottovalutate ma permettono di aumentare il bacino di visibilità e crescere a rete con obiettivi condivisi e comuni.
Peccato che in Italia ci sia poca mentalità a riguardo e si tenda sempre a fare le cose in autonomia piuttosto che creare partnership.
Il digitale permette ai giovani di avere mille opportunità, il nostro ruolo di formatori ed imprenditori è quello di guidarli non solo verso percorsi formativi di valore, ma soprattutto di insegnare un’etica professionale che si perde spesso sui social network, perché l’aspetto umano e relazionale è sempre la chiave vincente di qualsiasi professionista, al di là delle competenze.

Anche Francesco Chiappini, come molti professionisti del digitale, sostiene la necessità di lavorare nel marketing digitale con passione, sostenuti da una formazione continua, avendo a cuore le relazioni umane e l’etica professionale. Ciò può essere facilitato con la creazione di partnerships che condividano obiettivi di valore. 

Marco Gastaldi